
Avvocati, compenso a forfait degli enti pubblici, che risulti completamente sganciato in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M (Compreso agenzia entrate riscossione) illegittimo, ammessa l’azione giudiziaria degli ordini professionali. Tar Campania sentenza n. 469/2025 pubblicata il 17/01/2025
Il Tar della Campania su ricorso del Tribunale di Torre Annuziata ha ritenuto illegittimo il compenso a forfait pattuito con l’avvocato senza il rispetto dell’equo compenso, la vexata quaestio riguarda nello specifico il Comune di Lettere, ma i principi espressi si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche.
Moltissimi sono i colleghi che lavorano con l’agenzia delle entrate riscossione e con altri Enti pubblici (inps, comuni, regioni) e pagati peggio di un imbianchino, che certamente non possono porre in essere azioni contro chi gli conferisce il lavoro, sarebbe quindi il caso che a tutelarli siano gli ordini professionali.
Ultimamente molti colleghi sono costretti a dichiararsi antistatari pur di vedere qualche compenso decente, considerato che molti giudici condannano pesantemente i contribuenti che osano proporre ricorso, non è giusto che lo Stato oltre a sanzioni sproporzionati, aggi, interessi e spese, lucri anche sugli avvocati. Lo stato paghi i giusti compensi, tanto sarà rimborsato dalle condanne dell’autorità giudiziaria.
Riferimenti normativi: violazione art. 19 quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148/2017 e violazione del cd. equo compenso di cui alla legge n. 247/2012 e al D.M. n. 55/2014; eccesso di potere per violazione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa
Riferimenti giudiziari : Tar Campania sentenza n. 469/2025 pubblicata il 17/01/2025
La legittimazione ad agire dell’ordine degli avvocati
Secondo consolidata e condivisa giurisprudenza, gli ordini professionali sono legittimati ad agire per la tutela di posizioni soggettive proprie o di interessi unitari della collettività da loro istituzionalmente espressa, potendo, nel secondo caso, sia reagire alla violazione delle norme poste a tutela della professione, sia perseguire vantaggi, anche strumentali, riferibili alla sfera della categoria nel suo insieme (cfr. ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10), con il solo limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli ordini medesimi. Nel caso, poi, di ordini professionali individuati su base territoriale (come nel caso in esame) la legittimazione al ricorso va ricondotta all’ambito territoriale nel quale il provvedimento impugnato è destinato a produrre effetti (cfr., Cons. di St., sez. V, 28 marzo 2017, n. 1418; T.A.R.
Lazio, Roma, sez. I, 26 novembre 2018, n. 11447; T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 27 settembre 2018, n. 568). In particolare, “sussiste la legittimazione dell’Ordine professionale ad agire contro procedure di evidenza pubblica ritenute lesive dell’interesse istituzionalizzato della categoria da esso rappresentata anche nell’ipotesi in cui possa configurarsi un conflitto d’interessi fra esso Ordine e singoli professionisti in qualche modo beneficiari dell’atto impugnato” (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 25 agosto 2015, n. 2647; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 18/02/2022, n. 1114).
Nel caso specifico, deve essere quindi riconosciuta la legittimazione ad agire in capo all’Ordine, che ha interesse a garantire il diritto all’equo compenso all’intera categoria rappresentata.
L’interesse ad agire è, contrariamente a quanto dedotto dalla controparte, concreto ed attuale, nella parte in cui, con le clausole dell’avviso pubblico contestate, viene stabilito ex ante il compenso al professionista per tutte le attività giudiziali e stragiudiziali che saranno affidate nel triennio, precludendosi a monte ogni pattuizione dei compensi in misura diversa o maggiore rispetto alla soglia fissata nella censurata normativa di gara. Ed invero, “Parte ricorrente agisce al fine di tutelare l’interesse all’equo compenso della categoria rappresentata, nonché l’indipendenza e il decoro professionale” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 14/03/2023, n. 815), radicando così un interesse effettivo all’impugnazione delle previsioni in questione.
Tanto chiarito, con unico motivo di ricorso, l’Ordine ricorrente lamenta la violazione di legge e della normativa di settore deducendo che gli onorari professionali riconosciuti al legale affidatario degli incarichi all’esito della procedura ad evidenza pubblica gravata sono quantificati in contrasto ai criteri stabiliti dal D.M. n. 55/2014 e dalla legge n. 247/2012 (legge sulla professione forense), normativa ritenuta applicabile anche alle Amministrazioni pubbliche (art. 19 quaterdecies, comma 3, del D.L. n. 148/2017)
Detto avviso pubblico è altresì illegittimo laddove prevede, al punto 5 delle condizioni, in dedotta violazione delle previsioni di cui all’art. 13 bis, comma 5, lett. g) della legge n. 247/2012, che “l’avvocato in caso di condanna della controparte al pagamento delle spese di lite sia autorizzato al recupero esigendone il pagamento nella misura del 30%”.
Secondo il Tar Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
VI.2.1. Orbene, il D.M. n. 55/2014, norma invocata e della quale parte ricorrente deduce la violazione, prevede dei criteri di determinazione del compenso con indicazione di parametri sulla base di tabelle (n. 27) riportate in calce al Decreto, ripartite a seconda della tipologia di Autorità giudiziaria (o comunque di attività da svolgersi) e con la previsione di diversi onorari in considerazione dello scaglione di valore della controversia. Dispone, per quanto d’interesse, l’art. 4 “Parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale”, del D.M. n. 55/2014 (“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”), quale regola generale per la quantificazione del compenso dell’avvocato: “1. Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell’affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati fino al 50 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. 1-bis. Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è ulteriormente aumentato fino al 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto”.
VI.2.2. Ora, il corrispettivo unilateralmente fissato dal Comune di Lettere, come dedotto, non tiene conto di alcuno di questi criteri ovvero degli elementi e dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, disponendo una determinazione forfettaria dei compensi a prescindere dalla materia oggetto della controversia, dalla specifica tipologia di attività, dal valore della controversia, dalla complessità, dall’Autorità Giudicante. Tale corrispettivo unico annuale, oltre che in violazione del D.M. n. 55/2014, accorpa irrazionalmente ed illogicamente una pluralità di categorie diverse di attività non solo giudiziarie ma anche stragiudiziali (consulenze e pareri).
Ne consegue che la predeterminazione ex ante di un importo fisso forfettizzato, come dimostrato da parte ricorrente, risulta in concreto anche al di sotto dei c.d. minimi dei parametri stabiliti dal D.M. n. 55/2014 già per la sola attività giurisdizionale prevista. Scorrendo le delibere di conferimento degli incarichi per il 2023 e, successivamente alla proposizione del ricorso, per il 2024 avendo precipuo riguardo all’elenco dei giudizi per il quali il legale convenzionato dovrà costituirsi, si individuano, tra gli altri, e a titolo esemplificativo, circa 25 giudizi pendenti innanzi il Tar Napoli. Solo per questi procedimenti, ove non si voglia tenere conto della singola complessità, si avrebbe un importo forfettario fisso di circa 400 euro per ciascun giudizio, con ciò già esaurendosi l’importo forfettario previsto a base della procedura ad evidenza pubblica per il primo anno e, a maggior ragione, quello per gli anni successivi nei quali viene percentualmente diminuito. Con riferimento sempre all’attività prestata di fronte al giudice amministrativo per il caso, poi, di una assistenza giudiziale in materia di procedure di appalto o concessione, il solo contributo unificato per tale tipologia di giudizi (mediamente da euro 2.000 a 6.000 euro di fronte al TAR e da 3.000 a 9.000 euro di fronte al Consiglio di Stato) risulterebbe comunque estremamente superiore all’onorario professionale spettante al legale. A tali giudizi si sommano, poi,
quelli pendenti innanzi il Tribunale di Torre Annunziata, in Corte d’Appello o presso altre autorità giudiziarie. Ne può ragionevolmente sostenersi che l’elenco dei contenziosi allegati al gravato Avviso Pubblico abbia un valore essenzialmente riassuntivo e riepilogativo, unicamente per consentire al Comune di Lettere, stante l’imminente scadenza della convenzione con il precedente legale incaricato, di comprendere analiticamente quanto afferente all’area legale, anche al fine di richiedere e recuperare il cartaceo dei giudizi. L’elenco costituisce parte integrante della lex specialis della procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla scelta del legale da convenzionare, elemento di valutazione per la definizione della congruità dell’importo proposto a titolo di remunerazione per le prestazioni professionali richieste. VI.2.3. Ora, come dedotto dall’Ordine ricorrente, tale regolamentazione imposta dalla lex di gara risulta in violazione della normativa in materia. Ed invero, l’istituto del c.d. equo compenso (art. 13 bis, rubricato “Equo compenso e clausole vessatorie”, della l. n. 247/ 2012 – “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) si applica, in virtù del comma 3 dell’art. 19 quaterdecies, del D.L. n. 148/2017 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili), anche alla Pubblica Amministrazione, la quale, nella specie, “in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti”, con la conseguenza che la violazione di tale istituto, oltre a determinare una violazione di legge di per sé, si riflette altresì in una violazione dei principi ivi richiamati, come previsti dall’art. 97 Cost. e dell’art. 1 della Legge n. 241/1990 e come correttamente dedotto.
In particolare, come disposto dall’art. 13 bis della Legge professionale n. 247/2012, rubricato “Equo compenso e clausole vessatorie”, articolo introdotto dal comma 1 del medesimo art. 19 quaterdecies, del D.L. n. 148/2017 “si considera equo il compenso … quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6” (comma 2, dell’art. 13 bis, citato), ovvero dall’attuale D.M. n. 55/2014.
Il medesimo art. 13 bis della Legge Professionale, al successivo comma 4, dispone altresì che “si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato”, specificandosi al comma 5, per quanto di interesse che “In particolare si considerano vessatorie, salvo che siano state oggetto di specifica trattativa e approvazione, le clausole che consistono: …. g) nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte”.
Ora, come condivisibilmente già osservato, quanto all’applicazione della normativa richiamata, “ciò non vuol dire che l’ente pubblico debba determinare il compenso in base ai parametri del D.M. n. 55 del 2014 ma che il compenso debba necessariamente essere ragguagliato al contenuto della prestazione, e in particolare all’impegno quali-quantitativo che essa richiede e implica, tenuto conto che il riferimento a un criterio di proporzionalità rispetto a qualità e quantità del lavoro si ritrova anche nell’articolo 36 C.”. Se allora è vero che l’Amministrazione può derogare all’applicazione rigida dei parametri del D.M. n. 55/2014 secondo una maggiore flessibilità legata, tra l’altro, anche ad esigenze di contenimento della spesa pubblica (si veda in proposito la clausola di invarianza finanziaria di cui al comma 4 dell’art. 19- quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017 – particolarmente pregnante nel caso all’esame per essere il Comune di Lettere resistente interessato dalla procedura di riequilibrio finanziario di cui all’art. 247bis del TUEL), “non può negarsi che questi parametri vadano tenuti in conto, potendosi senz’altro ammettere compensi inferiori ma non compensi che risultino completamente sganciati in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M.” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 14 novembre 2022, n. 7037), come nel caso di specie.
Ed invero, “Le citate disposizioni fanno emergere come nell’ordinamento – pur successivamente all’entrata in vigore del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui art. 2, comma 1, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali – viga comunque un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Non a caso, l’art. 35 della Costituzione tutela il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, mentre il successivo art. 36, nell’occuparsi del diritto alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 agosto 2018, n. 1507). L’ordinamento, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Marche, sez. I, 9 dicembre 2019, n. 761), si preoccupa soprattutto di tutelare il diritto a una retribuzione adeguata dei professionisti lavoratori autonomi nei rapporti con i contraenti cosiddetti “forti” e nell’ambito di convenzioni unilateralmente predisposte da questi ultimi – tra i quali è stata annoverata anche la pubblica amministrazione – prevedendo la vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 dell’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, le quali determinino, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista e stabilendone la nullità, fermo restando il contratto per il resto (cfr., art. 13 bis, citato, commi da 4 a 8) … La norma in parola, nell’estendere anche alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di applicare (ovvero di tenere comunque conto della) la disciplina dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi da esse conferiti, è finalizzata ad assicurare una speciale protezione al professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, in
tutti i casi in cui la pubblica amministrazione, a causa della propria preponderante forza contrattuale, definisca unilateralmente la misura del compenso spettante al professionista e lo imponga a quest’ultimo senza alcun margine di contrattazione; e ciò sia in occasione di affidamenti diretti dell’incarico professionale, sia nella determinazione della base d’asta nel contesto di procedure finalizzate all’affidamento dell’incarico professionale secondo le regole dell’evidenza pubblica (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 20 dicembre 2021, n. 1088)” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 18.02.2022, n. 1114).
Più in generale, si rileva l’illogicità di un sistema in cui il legale viene remunerato senza tener conto della tipologia e della difficoltà della controversia, tutte, semplici o complesse, egualmente remunerate nonostante il professionista assuma su di sé una responsabilità professionale di livello estremamente diverso e l’attività richieda un impegno oggettivo molto diverso (anche semplicemente in termini di ore di lavoro).
VI.2.4. Ciò posto, l’evolversi del rapporto convenzionale ha dimostrato la fondatezza delle censure. Alla luce dei soli incarichi affidati nell’anno 2023 all’Avv. Gaetano Fontana, professionista convenzionato all’esito della procedura ad evidenza pubblica de qua (oltre 20 giudizi innanzi al Tar Napoli e circa 10 giudizi innanzi alla Corte d’Appello di Napoli e al Tribunale di Torre Annunziata), la determinazione dell’importo dei compensi stabiliti, con il bando, dall’Amministrazione Comunale viola le prescrizioni sul cd. equo compenso, con la conseguenza che le previsioni dell’avviso pubblico sono illegittime. A ciò si aggiunge l’attività stragiudiziale che l’Avvocato convenzionato è chiamato, per convenzione, a prestare, nonché per l’assistenza e la consulenza legale agli Uffici e Organi dell’Amministrazione. Le medesime considerazioni sono ancora più evidenti per l’anno 2024, laddove per prescrizioni concorsuali l’importo del corrispettivo è ridotto nella misura del 10%, per un residuo di 9.000 €.
VI.2.5. In tal quadro, risultano allora vessatorie le ulteriori clausole imposte, prima fra tutte, la disposizione di chiusura a norma della quale “l’importo di affido nell’arco del triennio subirà una decurtazione nel caso di formali rinunce per dichiarata incompatibilità, conflitti d’interessi etc., ovvero ulteriori ipotesi contemplate nella delibera di G.M. n. 70/2017 che impediscono la difesa dell’Ente, per un importo corrispondente al controvalore di affido per utilizzo della short list”, ove sono indicati altri professionisti
Ed invero, il legale convenzionato non può prevedere, ex ante, in quali giudizi promossi nel triennio si potranno determinare tali situazioni, con il rischio aggiuntivo di vedere il proprio compenso sostanzialmente azzerato in ragione di formali rinunce agli incarichi per incompatibilità ovvero per conflitto di interessi.
VI.2.6. Analogamente è a dirsi per quanto disposto al punto 5 delle condizioni, secondo cui “l’avvocato in caso di condanna della controparte al pagamento delle spese di lite sia autorizzato al recupero esigendone il pagamento nella misura del 30%”. Tale prescrizione è, come dedotto, in violazione dell’art. 13 bis, comma 5, lettera g) della legge n. 247/2012 (Legge Professionale), a norma del quale, come visto, “si considerano vessatorie le clausole che consistono: … g) nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte”. Fuorviante è allora la considerazione che tale disposizione comporterebbe un aumento del compenso per il professionista incaricato il quale otterrebbe dal Comune di Lettere, in aggiunta al compenso previsto, il 30% delle spese di lite recuperate, con un incontestabile vantaggio. Conseguentemente tale previsione dell’Avviso pubblico è parimenti illegittima e va annullata, ravvisandosi, di contro, una non congruità dei compensi. VI.2.7. I principi enunciati non trovano eccezione neppure nella ipotesi in cui il professionista incaricato abbia liberamente accettato il compenso atteso che,
come già rilevato nel richiamato condivisibile precedente: “La circostanza che il singolo professionista resti libero di valutare la convenienza dell’incarico e di rifiutarlo nel caso in cui ritenga non equo il compenso non rileva, dato che ciò non esclude la violazione dell’articolo 19- quaterdecies, comma 3, cioè la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di garantire un compenso equo; in altri termini, la disposizione violata impone all’amministrazione di prevedere compensi equi e non consente la previsione di compensi non equi, anche se – ovviamente – il singolo professionista non è certo obbligato, ove inserito nell’elenco, a accettare l’incarico e quindi a beneficiare di un compenso non equo” (sentenza n. 7037/2022).
Resta, comunque, precluso alle Amministrazioni aggiudicatrici l’introduzione di regole che, come nella specie, impediscano sistematicamente ex ante il riconoscimento di un corrispettivo professionale da corrispondere ai professionisti incaricati. Ne consegue, in definitiva, l’illegittimità degli atti impugnati.
VII. Sulla base delle sovra esposte considerazioni il ricorso è meritevole di accoglimento. Ne consegue che il bando di gara e gli atti conseguenti devono essere annullati in quanto adottati in violazione dei principi di cui alla l. n. 247/2012. In sede di riedizione del potere, volto ad assicurare la par condicio partecipationis dei professionisti interessati, l’Amministrazione dovrà attenersi ai principi sopra illustrati.
Napoli,li 16/02/2025
Avv. Giuseppe Marino