Abuso del diritto anche per il Fisco e non solo per il contribuente

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La suprema Corte di Cassazione non può  viaggiare  a senso unico, qualsiasi cosa faccia il contribuente rischia di essere accusato di aver abusato del diritto per evadere il fisco, ma fino ad oggi di tutti gli abusi perpetrati dall’agenzia delle entrate, non sono mai stati oggetto d’attenzione di una  sola sentenza a favore dei contribuenti.

L’abuso del diritto da parte dell’agenzia delle Entrate è continuo, si pensi alle denunce penali senza alcun presupposto per ottenere il raddoppio dei termini per gli accertamenti, ottenuto nella stragrande maggioranza senza alcuna condanna del contribuente.

Nel caso del ne bis in idem europeo, che vieta che il cittadino Italiano sia soggetto contemporaneamente sia a sanzione penale sia a sanzione tributaria, l’ufficio infligge entrambe le sanzioni, costringendo il contribuente ad affrontare due processi, con costi elevati e soltanto alla definizione di uno, l’ufficio esclude l’altro, quando potrebbe scegliere tra i due provvedimenti sanzionatori.

L’uso massivo dei questionari, la cui mancata risposta non permette al contribuente di produrre i documenti in sede contenziosa, come previsto dagli irragionevoli artt. 32, del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600 e 51, del D.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633

Il ricorso massiccio allo strumento dei questionari da parte dell’Amministrazione Finanziaria, sta creando non poche distorsioni nel sistema tributaria, causando una ingiustificato e irragionevole sistema sanzionatorio, per non aver ottemperato alla presentazione della documentazione richiesta, che non può essere più prodotta in sede contenziosa, generando poi un enorme contenzioso che potrebbe diversamente risolversi in via amministrativa.

Perché l’ufficio invia un questionario, quando può effettuare una verifica nei locali dell’azienda?

Perché l’ufficio, che tramite gli elenchi clienti e fornitori, spesometro e fatturazione elettronica, dispone di una immensa mole di dati, poi li richiede al contribuente?

Poi in caso di omessa dichiarazione richiama solo i ricavi e omette i costi.

Al contribuente, in forza dell’art. 6, comma 4, della l. 212/2000 (Statuto del contribuente) non possono essere richiesti documenti o informazioni già  in possesso dell’Amministrazione, la quale, anche ai sensi dell’art. 18, n. 2, della l. 241/90 è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso.

Trova applicazione anche nel processo tributario, in quanto è espressione del più generale principio di collaborazione tra P.A. e privati, il disposto di cui all’art. 18 della l. n. 241/1990, ribadito per la materia tributaria dall’art. 6, comma 4, della l. n.  212/2000,  secondo  cui  il contribuente non è tenuto ad esibire documenti ed informazioni  in  possesso dell’Amministrazione finanziaria.

L’abuso è senza  un limite esterno alla libertà ed è uno strumento proprio della giurisprudenza utilizzato per dare coerenza esterna al sistema nel suo complesso considerato.

L’abuso del diritto, quindi, si presenta strettamente correlato ai principi di buona fede e di correttezza, in tale prospettiva la giurisprudenza della Cassazione, che sinceramente non può essere operante soltanto ai danni dei contribuenti,  in quanto  il principio di correttezza e buona fede richiama nella sfera del creditore (fisco) la considerazione dell’interesse del debitore (contribuente)  e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, costituzionalmente garantito, che, operando con criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche un danno risarcibile (Cass. SS.UU. 25/11/ 2008, n. 28056).

L’Articolo 1175 C.C. stabilisce che Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.

L’articolo art. 1375 C.C. stabilisce nei contratti, ma ormai universamente applicabile a tutti i rapporti obbligatori.

L’art.2 della C. impone l’obbligo di solidarietà sociale

I rapporti obbligatori sono oramai governati dal c.d. principio di buona fede, il quale assume un significato differente a seconda che venga inteso nella sua dimensione soggettiva, quale ignoranza di ledere l’altrui diritto, o nella sua dimensione oggettiva come solidarietà e reciproca lealtà di comportamento.

Ci si chiede l’ufficio si comporta secondo correttezza e buona fede, infliggendo la doppia sanzione (tributaria e penale), non menzionandola nell’accertamento e soprattutto sapendo che per il patteggiamento penale è condizionato dal pagamento integrale delle imposte, ex art. 13-bis comma 2 D.Lgs. 10-3-2000 n. 74, secondo cui il patteggiamento può essere richiesto, per i reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, solo quando il debito tributario sia stato pagato.

L’aver il quadro chiaro, consente al contribuente di fare anche scelte diverse, la non chiarezza invece porta poi ad infliggere la massima punizione sia essa monetaria, sia essa penale

Napoli,li 30/07/2021

Dott. Giuseppe Marino

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