Dirigenti e funzionari dell’agenzia delle entrate abusivi e onere della prova
L’accertamento firmato dai dirigenti abusivi, analisi oggettiva delle conseguenze senza preoccuparsi di salvare le casse dello Stato.
Il Comitato di gestione dell’agenzia delle entrate aveva modificato l’art. 24 comma 2 del regolamento dell’amministrazione conferendo incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 19 comma 6 del Dlgs 165/2001, che in sostanza permetteva incarichi dirigenziali provvisori.
In sostanza si mettevano gli amici degli amici con nomina annuale, senza alcun concorso pubblico.
L’agenzia delle entrate ha proceduto per molto tempo a conferire incarichi permanenti prorogando di anno in anno le nomine.
Tale facoltà, che si è rivelata, (stavolta a favore dei contribuenti), un vero abuso di diritto, ha consentito di aggirare la legge e nominare gli amici senza che questi abbiano mai superato un concorso pubblico. Chi invece il concorso lo aveva superato si è risentito e ha fatto ricorso al Tar, che con sentenze 25 maggio 2011, n. 6884 e 6 luglio 2011, n. 7636 ha ritenuto queste nomine illegittime e i dirigenti e i funzionari abusivi.
Il Ministero ha fatto appello al Consiglio di Stato e nel frattempo con una legge a dir poco illegittima “decreto Semplificazioni fiscali”, ha sanato le nomine, La sez. IV del Consiglio di Stato, con sentenza 18 novembre 2013, n. 5451 non solo ha confermato le sentenze del Tar ritenendo fuorilegge le nomine, ma ha ritenuto inviare gli atti alla Corte Costituzionale che con sentenza 37 del 17 marzo 2015 ha ritenuto incostituzionale la legge che sanava tutto, in quanto nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio
I dirigenti abusivi che hanno firmato gli atti sono 800 su 1200 in tutta Italia, nominativi che per ovvi motivi non sono stati resi pubblici.
Il dirigente che ha firmato rientra tra gli abusivi o tra quelli che ha regolamento vinto il concorso pubblico.
L’individuazione non è di poco conto, in quanto gli atti emessi da un dirigente che non aveva la legittimazione del titolo sono tutti inesistenti.
In diritto amministrativo un atto è illegittimo quando si presenta difforme dal modello delineato astrattamente dalla legge, come nella fattispecie la nomina illegittima di un dirigente, di un funzionario o di un capo team (in italiano capo ufficio, ma lo stiamo dimenticando).
Se il firmatario dell’anno non è stato nominato secondo la legge, si configura una illegittimità derivata dell’atto sottoscritto, l’illegittimità è derivata quando l’atto, di per sé valido, subisce le conseguenze dell’invalidità di un altro atto precedente o presupposto, al quale sia strettamente collegato, ossia la nomina del suo firmatario. L’illegittimità dell’atto presupposto determina l’illegittimità di quello conseguente in Tal senso Consiglio di Stato, III sezione, sentenza n. 6922 del 10 novembre 2020.
Sulla questione ovviamente è calato il sipario dei messi di informazione e alcuni giudici hanno cercato di salvare lo Stato sostenendo che in base al legittimo affidamento, l’atto doveva considerarsi valido per sanatoria.
Vediamo cosa dice la Legge l’art. 21 octies al comma 2 della Legge 241/90.
Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento (non discrezionale n.d.a.), sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. L’accertamento è un atto discrezionale, mentre il pagamento di un rimborso è un atto vincolante.
Quindi nessuna sanatoria per i funzionari di fatto può essere configurata.
L’art.21 septies della Legge 241/90 stabilisce: E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
Inoltre è vero che il Consiglio di Stato ha più volte stabilito che sono fatti salvi gli atti posti in essere da un funzionario non legittimato a tutela del principio del legittimo affidamento, ma tale fattispecie riguarda i diritti acquisiti non gli atti punitivi, l’arresto del pubblico ufficiale che non ha la qualifica di polizia giudiziaria è nullo, al contrario è valido l’autorizzazione concessa da un funzionario abusivo, perché il cittadino legittimamente ha fatto affidamento sulla Pubblica Amministrazione.
In primo luogo bisogna chiarire su quale parte incombe l’onere della prova della correttezza o meno del conferimento dell’incarico.
E’ chiaro che a provare la legittimità della nomina del firmatario dell’atto tributario, deve essere la stessa agenzia delle Entrate, perché il cittadino contribuente non ha accesso agli atti di nomina.
Quindi secondo la Suprema Corte, ha l’onere di provare colui che ha la vicinanza della prova, nella difficoltà di reperire la documentazione probatoria. Cass. SS.UU Sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001.
In base al principio della vicinanza della prova, che muove dalla considerazione che se una delle parti in contrerebbe difficoltà, nel dimostrare un fatto, l’onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione.
Ed appare coerente alla regola dettata dall’art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell’adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva dell’adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione (sent. n. 973/96; n. 3232/98; n. 11629/99).
Nette sentenze Ctp Reggio Emilia n. 187/3/2014 Ctp Reggio Emilia n. 195/3/2014 Ctp Rimini n. 184/2/2013 Cassazione n. 14942/2013 Cassazione n. 17400/2012 è stato sancito il principio in virtù del quale incombe sull’ufficio l’onere di produrre in giudizio una delega atta a dimostrare la valida sottoscrizione dell’avviso di accertamento. In assenza l’atto si deve considerare nullo.
La delega prodotta deve essere personalizzata e non stereotipata. In assenza di dati precisi, ovvero di riferimenti nominativi, deve ritenersi inutilizzabile ai fini della prova e quindi l’atto è nullo
È nullo l’accertamento se l’ufficio non contesta alcunché sull’eccezione sollevata dal ricorrente circa la validità della firma dell’avviso di accertamento.
Per gli avvisi di accertamento delle imposte dirette, si applica l’art. 42 del Dpr 600/73, che impone la sottoscrizione a pena di nullità, norma applicabile anche all’Irap per rinvio dell’art. 25 comma 1 Dlgs 446/97 e all’Iva, stante al rinvio di cui all’art. 56 comma 1 Dpr 633/1972.
In caso di contestazione sulla validità della firma, incombe sull’amministrazione l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore.
La nullità è rilevabile d’ufficio o deve essere oggetto di specifica contestazione nel ricorso introduttivo? Ritengo sia indispensabile eccepirlo sin dal ricorso, in ogni caso secondo le seguenti argomentazioni è possibile
Come far valere questa nullità o annullabilità nei ricorsi già pendenti e per i quali non è stato eccepita la questione dei funzionari abusivi? Come possono essere qualificati questi atti nulli o annullabili? come si può raggirare il divieto dei così detti motivi aggiunti per i ricorsi in corso e introdurre l’eccezione nei ricorsi già avviati? Per quanto riguarda l’introduzione di una eccezione non sollevata nel ricorso introduttivo, il divieto opera soltanto per quelle ragioni conosciute o conoscibili all’atto del ricorso, pertanto il motivo può tranquillamente rientrare come motivo aggiunto ammissibile perché non conosciuto né conoscibile all’atto del ricorso.
Secondo il sole 24 ore con articolo del 21/05/2015 norme e tributi, l’eccezione deve essere fatta valere come motivo aggiunto entro 60 giorni dal deposito della sentenza della Corte Costituzionale ossia entro il 25/05/2015, nel rispetto dell‘art. 24 del Dlgs 546/92 che stabilisce : 1. I documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti. 2. L’integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito. Non sono d’accordo con il sole 24 ore la norma si riferisce agli atti del processo e non di certo con eventi esterni ad esso. L’integrazione dei motivi si effettua mediante atto avente i requisiti di cui all’art.18 del Dlgs 546/92 per quanto applicabile. Si applicano l’ art. 20 1 e 2 comma e l’art. 22 commi 1,2,3 e 5 e l’art. 23 comma 3Per la Cassazione, l’integrazione dei motivi del ricorso di cui all’art. 24 c.2 del DLGS 546/92 viene ammessa esclusivamente in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti (Cass. sentenza n.23123 del 30/10/2009), ma esistono però le eccezioni rilevabili d’ufficio come l’Inesistenza giuridica. Il secondo comma dell’art. 57 stabilisce che possono essere, in ogni caso, proposte alla cognizione del giudice le eccezioni rilevabili d’ufficio. Ciò non esenta le parti dall’onere di prospettare in giudizio i fatti che ne sono fondamento, in virtù del disposto dell’art. 7 del D.Lgs. 546/92, secondo cui il giudice non può pronunciarsi oltre i limiti dei fatti allegati dalle parti. Ma quali sono le eccezioni rilevabili d’ufficio? Nessun problema si pone per le eccezioni di rito quali le questioni pregiudiziali o le cause di inammissibilità dovute ad irregolarità procedurali nella costituzione in appello o, ancora, l’estinzione del processo per cause previste dalla legge. L’inesistenza giuridica dell’atto però costituisce eccezione rilevabile d’ufficio, l’atto è inesistente ab origine anche se l’inesistenza dovrebbe essere rilevabile d’ufficio è consigliabile depositare senza alcun limite preclusivo se non quello previsto per il deposito di documenti, memorie e brevi repliche previsti memorie aggiunte sulla questione dei funzionari abusivi.
Sull’inesistenza giuridica dell’atto che costituisce eccezione rilevabile d’ufficio, l’atto è inesistente ab origine e pertanto rilevabile in ogni stato e grado di giudizio in tal senso Cassazione 12104/2003. Pertanto, pur costituendo una nuova domanda inammissibile nei gradi di giudizio superiori al primo, l’eccezione può essere rilevata d’ufficio dal Giudice. In Tal senso la CTR Bari sentenza 212/23/2013 (sezione staccata di Lecce), che ha accolto la richiesta del contribuente – presentata solo nel giudizio di appello – di dichiarare inesistente la notifica eseguita direttamente dal concessionario per la riscossione senza l’ausilio di un ufficiale addetto. Veniamo ora alla qualificazione della patologia di cui sono affetti gli atti impositivi firmati dai così detti Funzionari e dirigenti abusivi.
L’invalidità è, in generale, la difformità dal diritto dell’atto che comporta la sanzione della inefficacia definitiva, e comprende sia la nullità sia la annullabilità. L’inosservanza di norme giuridiche si sostanzia in una qualifica negativa dell’atto, dando luogo ad una sanzione automatica (che opera di diritto, ad esempio per la nullità) oppure di necessaria applicazione giudiziale (ad esempio per l’annullabilità), con il tratto distintivo dato dalla circostanza che l’atto nullo è inefficace di diritto, mentre l’atto annullabile è provvisoriamente efficace, salvo a perdere la sua efficacia al momento dell’annullamento.
Affrontare le questioni più problematiche che si collocano al limite tra nullità e inesistenza, fattispecie quali l’usurpatore di pubbliche funzioni (art. 347 c.p.), i casi più gravi di funzionario di fatto, le ipotesi di imperfezione materiale (per non completamento della fattispecie), il difetto di sottoscrizione di un atto. Per rispondere all’esigenza di graduare le sanzioni di invalidità, il legislatore ha affiancato alla regola generale dell’annullamento, anche la nullità per casi più gravi (art. 21 septies) e la annullabilità sanabile o irregolarità, per i casi meno gravi (art. 21 opties) Perciò è richiesto che i provvedimenti ad esternazione scritta dispongano di una predefinita composizione, articolatesi in sei elementi dei quali quattro indispensabili perché necessari e sufficienti ad assicurare la validità dell’atto emanando. Essi sono: l’intestazione, indicativa dell’autorità procedente, il preambolo, enunciativo dei presupposti fattuali e giuridici, nonché della motivazione, per i quali l’amministrazione si è determinata ad agire, il dispositivo, contenitivo della decisione e, infine, la sottoscrizione attestante la titolarità dell’organo agente e del relativo potere. Per l’esaustività dell’elencazione mancano due elementi: la data ed il luogo dell’emanazione i quali possono essere definiti a titolo esemplificativo “accessori” poiché il loro eventuale difetto non è ritenuto genitivo d’implicazioni per l’esistenza giuridica o la validità del provvedimento.
Il Consiglio di Stato, sez. 5, del 19/04/2005, sentenza n. 1792 afferma testualmente che qualora il provvedimento non rechi alcuna sottoscrizione esso non può che essere invalido per l’assoluta impossibilità di individuare elementi utili ad indicare, con in equivoca precisione, il soggetto emanante.
Infatti, se la sottoscrizione è fattore integrante dell’elemento essenziale forma il suo difetto non può non determinarne la caducazione (dell’elemento forma) e, conseguentemente, la collocazione dell’atto nello stato patologico della nullità insanabile, ex artt. 3,21-septies L. n.241/90, art. 7 L.n.212/00, ma quando poi a sottoscrivere l’atto è un funzionario o un dirigente abusivo ossia, che non ha la qualifica grazie alla quale aveva il potere di dare esecutività all’atto, lo stesso è giuridicamente inesistente.
L’inesistenza al contrario della nullità è insanabile e imprescrittibile. Si ha inesistenza ogni qualvolta c’è mancanza di un elemento costitutivo dell’atto, come nel caso specifico il potere della persona fisica a dare esecuzione alla volontà dell’ente.
Nel tempo sono arrivate le prime sentenze dai giudici di Merito le prime pronunce la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con sentenza n. 3818/15 ha stabilito che l’accertamento notificato al contribuente è nullo se dall’atto non emerge quali siano le funzioni attribuite al delegato firmatario né il periodo di efficacia dello stesso, non essendo ammissibile una delega a tempo indeterminato.
La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, con sentenza n. 8321/28/15 ha stabilito che la prova della qualifica direttiva deve essere fornita dall’agenzia delle entrate e non dal contribuente, tesi perfettamente in linea col principio della vicinanza della prova sancito dalla Cassazione.
Successivamente la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 3222 /25/15 sez. 25 depositata il 10/04/2015, ha annullato un avviso di accertamento firmato da un dirigente abusivo, basandosi sulla sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 la Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della disposizione legislativa che aveva sanato per legge le nomine dei funzionari e dirigenti per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, avendo tale norma contribuito “all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte del vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica”. Ne consegue la nullità dell’atto di accertamento sottoscritto da soggetto non dotato di nona qualifica funzionale.
Sulla stessa linea anche la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, con sentenza n. 1790/02 /15 sez. 02 depositata il 21/05/2015 – Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, sentenza n. 414/02/15 –Commissione Tributaria Provinciale di Brescia , sentenza n. 277/01/15 – Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza n. 3222 /25/15 – Commissione Tributaria Regionale di Milano, sentenza n. 2148/13/15
Alla fine si è espressa anche la Suprema Corte con la prima decisione della Corte di Cassazione Sentenza n. 7495 depositata il 14 aprile 2015 – Pres. Stile, Rel. Bandini che ha stabilito : Essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali ascrivibili alla categoria degli atti negoziali, ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di “interessi legittimi”, ma di diritto privato, e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all’art. 2907 cc; tali posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l’interessato alleghi e provi la lesione dell’interesse legittimo suddetto, nonché il danno subito, in dipendenza dell’inadempimento di obblighi gravanti sull’amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l’amministrazione.
Napoli,li 10/09/2021
Dott. Giuseppe Marino
Lascia un commento