Il contribuente non può essere vessato da abuso del diritto del fisco

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Il debitore non può essere vessato, Cass. SSUU n.23726/2007 –  abuso del diritto  art 883 cc  e violazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa.

Riferimenti normativi: art. 2, 3 e 97 della Costituzione, articoli 833, 1175 e 1375 del codice civile, ex art. 5 T.U.E. art. 6-7 CEDU e  art. 41 della Carta di Nizza

Con il presente lavoro, studiando le norme su riportate, ho cercato di trovare le basi normative, che vietano al fisco di porre in essere azioni irragionevoli, spoporzionate e non conformi al buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa.

Considerato che quando il contribuente pone in essere operazioni elusive subito si grida all’abuso del diritto, è mai possibile, che gli abusi del fisco nessuno li veda?

Ho cercato di dare una risposta attraverso lo studio delle norme nazionali ed europee.

Il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato ponendo in essere un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile per il cittadino

Da quando la riscossione è stata affidata anche ai concessionari dei comuni o delle regioni, è sempre più frequente un azione sproporzionata nei confronti dei contribuenti.

Ad esempio è capitato che per soli 50 euro, venivano fermate 5 autovetture, oppure che per 400 euro il contribuente si vede fermata l’auto, bloccato il conto corrente e pignorato lo stipendio.

Tutte queste azioni sono illegittime.

Il principio di proporzionalità dell’azione  amministrativa richiede che la pubblica amministrazione ponga in essere un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile per il cittadino,  (5° Sezione del Consiglio di Stato sentenza depositata il 20/02/2017 – 6° sezione Consiglio di Stato sentenza 22/05/2013 n.964 – 6 Sez. Consiglio di Stato sentenza 21/01/2015 n. 284).

Il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato

Il principio di ragionevolezza trova il suo fondamento normativo nel  diritto Costituzionale la Consulta lo ha dedotto dall’art. 3 Cost. quale sinonimo di uguaglianza sostanziale e dall’art. 97 Cost. quale derivato  giuridico del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa. Inoltre, espressione di questo sono anche gli artt. 3 e 6 della l. 241/90 concernenti il dovere di motivazione del provvedimento e degli obblighi del responsabile del procedimento e, in particolare.

In particolare, nel diritto europeo il principio di proporzionalità assume una accezione ristretta ex art. 5 T.U.E. art. 6-7 CEDU e  art. 41 della Carta di Nizza (Diritto ad una buona amministrazione) secondo cui ogni cittadino ha diritto che le questioni che lo riguardino siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole con l’ulteriore obbligo di motivare le proprie decisioni.

La Cassazione, negli anni sessanta con sent. 15/11/1960 n. 3040), aveva rinvenuto nell’art. 833  cc l’espressione di un principio generale di divieto dell’abuso del diritto di proprietà e, più in generale, di qualsiasi diritto.

Dal combinato degli art.2 della C. (obbligo di solidarietà sociale), art. 1375 cc (obbligo di comportarsi secondo buona fede e art. 1175 cc (obbligo di correttezza tra le parti) si evince un generale obbligo per qualsiasi rapporto debitorio di rispettare tali parametri.

Vi riporto inoltre una sentenza delle Sezioni Unite in virtù del quale il debitore non può essere vessato.

Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che
deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. Il Fisco Italiano e il concessionario, spesso e  volentieri vessano il contribuente, per lo stesso debito azionano più procedimenti, fermo, pignoramento presso terzi, intimazione, ipoteca, ricorrere ai principi di questa sentenza è un ottimo rifermento Non è raro anche che nonostante il contribuente abbia rateizzato il debito,  senza alcun giustificato motivo viene emesso il ruolo.

E’ chiaro che il sistema in base al quale, i dirigenti delle entrate e del concessionario, devono raggiungere dei budget e percepiscono percentuali sul ricavato, ha generato vessazioni e ingiustificate aggressione ai patrimoni dei contribuenti. Con la pregevole Cass., SS.UU. 15 novembre 2007, n. 23726, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito un principio di civiltà giuridica, il debitore non può essere vessato, Il frazionamento del rapporto sostanziale e quindi l’aggressione plurima al contribuente per lo stesso debito, che inesorabilmente si ribalta in sede processuale si pone in contrasto:   a) con l’art. 88 c.p.c., il quale va letto alla luce «della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione»;   b) col principio del giusto processo accolto dall’art. 111 della Costituzione.   Tali principi  costituiscono, una significativa difesa  nel segno della lealtà e della lotta all’abuso (del processo).   Se da un lato è vero che il titolare di una posizione  giuridica soggettiva è libera sul se attivare o meno la propria pretesa, libertà tutelata dall’ordinamento è pur vero che tale libertà ha subito una rilettura, resesi necessaria da continui comportamenti vessatori e di aggressioni gratuite, che hanno fatto nascere un nuovo istituto, l’abuso del diritto. L’abuso del diritto, quindi, si presenta strettamente correlato ai principi di buona fede e di correttezza, quasi riportando il sistema alla definizione di Celso per cui il diritto era “ars boni et equi” ossia il diritto è l’arte di ciò che è buono ed equo, ed il suo oggetto avrebbe necessariamente dovuto tendere all’aequitas, ossia al raggiungimento della migliore soluzione possibile in concreto (e, aggiungiamo non contrastante, nemmeno indirettamente, con l’ordinamento ed i suoi principi Nella sentenza Cassazione civile sez. III  18 settembre 2009 n. 20106  la Corte, definisce il principio della buona fede oggettiva, come  reciproca lealtà di condotta, che deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476)   Cassazione civile , sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726
  scarica la sentenza Cass.23726.2007

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