Il momento impositivo è la consegna dell’assegno

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Il Principio di Cassa per i professionisti  e l’onere probatorio relativamente all’assegno

Quando il professionista incassa un assegno a fine anno e lo versa l’anno dopo, il momento impositivo è il momento della consegna dell’assegno e non quello del versamento. L’onere della prova ex art. 2697 cc è a carico del professionista.

Cass. sez. 5 Tributaria 16711/2021 depositata il 14/06/2021

L’art. 6 de Dpr 633/1972 e l’art.54 del Dpr 917/86 stabiliscono che per i professionisti il momento impositivo è individuata dalla data dell’incasso della prestazione e da tale data sorge l’obbligo sia della fatturazione sia della competenza Iva e IDD. Individuare il momento impositivo in modo corretto è importante per evitare la doppia imposizione, il cui divieto è sancito sia dall’art. 163 del Dpr 633/1972, dall’art. 67 d.P.R. n. 600/1973 e dall’art.127 d.P.R. n. 917/1986.

La CTR Campania riteneva che, in base al principio di cassa, le passività rappresentate dal pagamento degli assegni andassero imputate all’anno di consegna dell’assegno al prenditore e non all’anno di effettivo incasso, riteneva inerenti le spese relative alle altre fatture, e ravvisava compensi non dichiarati. Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate  sulla base di tre motivi.

L’ufficio deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 4, d. Igs. 546 del 1992, dell’art. 2697 c.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. La CTR avrebbe errato nel valutare la deducibilità nel 2005 dei costi rappresentati dagli assegni, essendosi basata su inammissibili dichiarazioni dei prenditori che hanno affermato di averli ricevuti nel 2005, per quanto gli assegni siano datati gennaio 2006. Il motivo è fondato nei termini che seguono. Non è errato il principio di diritto espresso dalla CTR, secondo cui il momento rilevante cui imputare una spesa sostenuta con assegno bancario, ai fini della deducibilità per i lavoratori autonomi è, in base al principio di cassa, quello della consegna del titolo e non quello dell’effettivo incasso (Risoluzione 138/e del 2009 per l’assegno circolare, ma il principio può ritenersi applicabile anche per l’assegno bancario). Il punto critico, oggetto del motivo di ricorso, è che, da quanto si comprende, il fatto che gli assegni siano stati consegnati nel 2005 la CTR deve averlo dedotto da dichiarazioni sostitutive di terzi, e gli assegni sono datati 2006, probabilmente perchè la data è stata apposta al momento dell’incasso. L’ufficio quindi contesta l’utilizzo di questo tipo di prova. La questione è stata sollevata nel corso del giudizio, e non fin dal primo grado, perché è sorta a seguito delle pronunce dei gradi di merito, ed anche perché dalla stessa sentenza della CTR emerge che proprio il contribuente ha prodotto queste dichiarazioni solo in corso di giudizio con memorie. La giurisprudenza sulle dichiarazioni sostitutive nel processo tributario o le esclude (Cass.sez. V, n. 32568 del 2019), oppure ammette la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (come appunto le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà), precisando tuttavia che esse «hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice nel contesto probatorio emergente dagli atti» (Cass.sez. V, n. 21304 del 2013).

La CTR non si sofferma in alcun modo su questa problematica, dando conto di questi dubbi della giurisprudenza, ma dal tenore della sentenza si comprende che, sostanzialmente, le considera ammesse come prove piene, e in tal senso non fa corretta applicazione del principio sul valore probatorio di tali dichiarazioni. La CTR applica una sorta di principio di non contestazione, affermando che l’ufficio dopo la produzione delle dichiarazioni in primo grado non aveva eccepito alcunchè. Tuttavia, ritiene la Cassazione  che, nel momento in cui l’ufficio ha sempre sostenuto che le somme non erano deducibili nel 2005 (essendovi la prova che erano stati incassati, e quindi si dovrebbe ritenere anche emessi e consegnati nel 2006), in questa tesi rientri, in senso lato, anche una contestazione a tutto ciò che, seppure prodotto in corso di causa, tende a voler dimostrare il contrario.

Secondo la Suprema Corte,  la CTR avrebbe dovuto scrutinare a fondo il valore delle dichiarazioni di terzo contenute in atti sostitutivi di notorietà, sulla base del principio per cui l’inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario non comporta l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi (sez. V n. 6946 del 2015) sia quelle  raccolte dall’amministrazione procedente nella fase procedimentale, ma anche contenute in dichiarazioni sostitutive, per quanto alle stesse non debba essere riconosciuto valore probatorio pieno, rappresentando, piuttosto, un indizio, valutabile in relazione agli altri elementi acquisiti. (Cass.sez. V, n. 27173 del 2011, sez. V, n. 18772 del 2014, sez. V, n. 21304 del 2013). Sussiste secondo la Suprema Corte in capo al giudice tributario il potere dovere di valutarne l’attendibilità, comportando il principio della libera valutazione delle prove l’obbligo di confrontare le propalazioni raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali altri elementi acquisiti, per poi impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo (Cass.sez. V, n. 5340 del 2020, sez. V, n. 5589 del 2021). Per contro, la giurisprudenza che esclude in radice qualunque valore probatorio alle dichiarazioni di terzi nel giudizio tributario deve confrontarsi, ad avviso del collegio, con i principi espressi in sede sovranazionale in materia di contraddittorio, anche nel giudizio tributario, tali per cui “l’assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile” (Corte EDU 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/0143, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia).

 Napoli 04/07/2021

Dott. Giuseppe Marino

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