La motivazione degli atti tributari non può essere integrata o modificata in udienza, ma deve essere adeguata ab origine, il giudice è obbligato all’annullamento e l’obbligo di adeguata motivazione si applica a tutti gli atti compresi quelli emessi dal concessionario della riscossione e dalla guardia di finanza.
La motivazione che deve sussistere ab origine, cioè sin dall’inizio, non essendo suscettibile di amplificazioni successive alla notifica dell’atto tributario.
La fonte normativa è l’art. 7 della L.212/2000 che pone la sanzione di nullità agli atti tributari non motivati, pertanto, ammettere la motivazione in udienza equivale ad eludere la norma e rendere vana la sanzione.
La motivazione riguarda tutti gli atti anche quelli del concessionario della riscossione e quelli della Guardia di finanza, come previsto dall’art. 17 della L.212/2000 che stabilisce che: . Le disposizioni della presente legge si applicano anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura.
Il Giudice tributario di fronte a un atto carente di motivazione deve limitarsi a una pronuncia di annullamento (Cass., SS.UU., 2 aprile 1986, n. 2246) e non può disporre indagini, perché non solo eluderebbe la sanzione per la carenza di motivazione prevista dalla norma, ma violerebbe il principio dispositivo del processo, in virtù del quale il giudice deve attenersi alle prove fornite dalle parti, altrimenti sarebbe un giudizio inquisitorio. Il Giudice tributario può disporre acquisizione di documento soltanto su richiesta delle parti e qualora fosse impossibile acquisirle, ad esempio il contribuente che non riesce a farsi rilasciare un attestato dalla Pubblica Amministrazione
Fonti giurisprudenziali: Cass., SS.UU., 2 aprile 1986, n. 2246 – Corte di cassazione Ordinanza nr 7649 del 02 aprile 2020 – Corte di cassazione ordinanza n. 3414/2017, Cassazione ordinanza n.28655/2018 depositata il 09/11/2018
Nel lontano 1990, fu varata la Legge 241/90, che all’art. 3 stabiliva che la pubblica amministrazione doveva debitamente motivare i propri atti. Successivamente l’art. 7 della Legge 212/2000, statuto del contribuente, stabiliva che gli atti tributari devono essere adeguatamente motivati, in modo da permettere la ricostruzione dell’iter logico giuridico in base alla pretesa. Nel 2007 la Corte Costituzionale con sentenza 109/2007 ha statuito, che anche nel processo tributario è pienamente applicabile l’art. 2967 del cc, ossia chi vanta un diritto lo deve provare. La motivazione quindi, ossia la ragione della pretesa tributaria, riveste una funzione fondamentale, dalla motivazione non solo deve scaturire il procedimento logico giuridico, ma devono scaturire anche gli elementi di prova della pretesa. La motivazione riguarda non solo gli atti dell’agenzia delle entrate come ente impositore, ma anche gli atti della riscossione, non è quindi fondata la tesi che la motivazione va circoscritta agli atti dell’ente impositore, ma va applicato sia al concessionario della riscossione, sia agli ausialiri (Gdf ) per espressa previsione dell’art. 17 della Legge 212/2000. In tal senso Cass. civ. Sez. V, 10-10-2008, n. 24912. Ogni qualvolta mi sono trovato sentenze che hanno stabilito che la motivazione non si applica agli atti della riscossione, riscontro delle tesi dell’ufficio riprese dai giudici senza alcun fondamento e riscontro giuridico. Qualora il provvedimento impugnato risulti viziato da carenza di motivazione, il giudice tributario deve limitarsi ad una pronuncia di annullamento, senza proseguire ulteriormente l’indagine sull’effettiva sussistenza del debito di imposta e sostituirsi quindi all’Amministrazione finanziaria nell’attività di accertamento. (Cass. Sent. n. 11461 del 3 novembre 1995, Cass., SS.UU., 2 aprile 1986, n. 2246), dovendo in tale ipotesi il giudice tributario limitarsi ad una pronuncia d’annullamento (Cass., SS.UU., 26 ottobre 1988, n. 5782). Procedimento logico-giuridico, significa che oltre a far comprendere chiaramente per quale motivo l’atto tributario giustifica di fattoi la pretesa, ma che in base a quale norma, che deve essere rigorosamente indicata. La motivazione deve risultare adeguata, nell’atto tributario notificato, per cui non può essere integrato o modificato in udienza, come spesso succede. Molto spesso mi capita che l’ente impositore cerca di sopperire alle mancanza motivazionali, integrando con le controdeduzioni. Orbene, la Cassazione con l’ordinanza n.28655.2018 depositata il 09/11/2018 ribadisce questo principio di diritto: Non è consentito all’ente impositore integrare o modificare la motivazione nel corso del processo tributario, l’art. 7 della Legge 212/2000 impone un adeguata motivazione ab origine. In tale senso Cassazione ordinanza n. 3414.2017, Cassazione sentenza n. 23248/2014 La motivazione di una pretesa impositiva deve sussistere ab origine ed essere necessariamente contenuta all’interno dell’atto di accertamento notificato al contribuente: i contenuti dell’atto delimitano le ragioni fondanti, di fatto e di diritto, della pretesa, da cui l’impossibilità di una integrazione o sostituzione in corso di giudizio o nelle fasi prodromiche. È il principio ribadito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 3414/2017.
La motivazione che deve sussistere ab origine, cioè sin dall’inizio, non essendo suscettibile di amplificazioni successive alla notifica dell’avviso di accertamento. Del resto, conclude la Cassazione, «per giurisprudenza costante, la motivazione delimita, oltre che il petitum, la ragione fondante, di fatto e di diritto, della pretesa impositiva, donde l’impossibilità di una sua sostituzione o integrazione in corso di giudizio».
La fonte normativa è l’art. 7 della L.212/2000 che pone la sanzione di nullità agli atti tributari non motivati, pertanto, ammettere la motivazione in udienza equivale ad eludere la norma e rendere vana la sanzione.
Napoli, 11/09/2021
Dott. Giuseppe Marino
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