Nessuna sanzione per crisi di liquidità provata, insindacabile la decisione dei giudici di merito in sede di legittimità
Cassazione sez. 5 Tributaria sentenza n. 15415/2021 del 03/06/2021
Tale sentenza non è assolutamente condivisibile, come del resto tutto l’orientamento della Cassazione, in virtù del quale se l’imprenditore paga i dipendenti e non paga le tasse, questo fatto non cosriruisce causa di forza maggiore. Secondo i supremi giudici l’imprenditore dovrebbe pagare prima le tasse. Tale affermazione non è costituzionalmente orientata, l’art. 2 della C. impone il dovere di solidarietà sociale e pertanto l’imprenditore che non paga prima i dipendenti, pagando prima le tasse violerebbe tale dovere. Tra l’altro il mancato pagamento dei dipendenti farebbe arrestare l’attività dell’azienda con imminente fallimento.
Ritengono inoltre che il contribuente deve fare di tutto per rimediare credito e pagare, ma cosa può fare un contribuente che ha carichi fiscali sospesi? le banche lo sanno e bloccano tutte le linee di credito.
Come possano affermare un principio del genere? sinceramente mi lascia sbalordito e mi conferma sempre di più che spesso alcuni giudici sono molto lontani dalla realtà.
Il problema si pone ora con il lungo periodo di lock down voluto per combattere la pandemia da corona virus, cosa succederà per tanti imprenditori, che loro malgrado non hanno pagato?
Visto che spesso i Giudici sostengono l’onere della prova a carico del contribuente e la necessità di un evento imprevedibile e straordinario, salvo non si rimangino le parole, dovrebbero riconoscere la crisi di liquidità da covid 19 come causa di forza maggiore, con conseguente non applicabilità sia della sanzione tributaria, sia di quella penale.
Si dovrebbe fare come in America, per poter fare il giudice bisogna aver fatto l’avvocato per un periodo lungo di tempo.
Analizziamo cosa sostiene la suprema Corte.
Nessuna sanzione per crisi di liquidità provata, insindacabile la decisione dei giudici di merito in sede di legittimità Cassazione sez. 5 Tributaria sentenza n. 15415/2021 del 03/06/2021
La non applicazione delle sanzioni per causa di forza maggiore è sempre avuto valenza per tutto tranne per il tributario.
Nel tributario, la norma che prevede la causa di forza maggiore è l’art. 6 comma 5 del D.Lgs. 472/1997 che prevede testualmente che “non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”.Anche nel diritto europeo la nozione di causa forza maggiore, in materia tributaria, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (Corte giust., C/314/06, punto 24, nonché Corte giust., 18 gennaio 2005, causa C-325/03 P, Zuazaga Meabe/UAMI, punto 25).
Con la crisi pandemica da covid 19, riusciranno i contribuenti dopo aver subito senza un risarcimento le chiusure almeno a non pagare le sanzioni?
Il ricorrente sia ai fini penali sia ai fini tributari, deve fornire la prova di aver tentato di reperire i fondi necessari al pagamento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile, fornendo ad esempio il rifiuto della banca di concedergli credito, la richiesta fatta ai soci di autofinanziamento rifiutato, possibilmente da far rilevare su verbale di assemblea ordinaria.
La Cassazione ha stabilito che l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 I. n. 689 del 1981, che stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle sanzioni, non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente.
È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza. ( Cass. n.2139/2020)
La Suprema Corte di Cassazione a SS.UU. con la decisione n. 37424/13, affermando che il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs n. 74 del 2000), si pone in rapporto di progressione illecita con l’art. 13, comma primo, D.Lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico dell’imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile IVA, hanno anche precisato che: “Non può…essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta…: ne consegue che l’illecito, che richiede per configurarsi il dolo generico, è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando che l’impresa attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti . Con successiva precisazione, la Cassazione non esclude che, in astratto, si possano configurare casi che giustificano l’invocarsi di assenza del dolo o di assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria ma l’apprezzamento di tali casi è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato ed al fine di una verifica in merito è necessario che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario).In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto dell’ esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili. ( cass. pen. N.10813/2014).
Anche l’agenzia delle Entarte con la circolare 8/E/2020 nel rispondere ad una problematica relativa all’emissione di una fattura elettronica ha pubblicato un quesito in cui si chiedeva appunto se fosse invocabile l’esimente prevista dall’articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 in presenza di causa di forza maggiore . L’ufficio anche se non favorevole al contribuente, conclude sul punto ritenendo che con riferimento all’esimente di cui all’articolo 6, comma 5, del D.Lgs. 472/1997, la stessa può trovare applicazione in base ai principi di carattere generale prima richiamati, qualora l’Ufficio competente alla valutazione della ricorrenza degli elementi della forza maggiore ne ravvisi la sussistenza nel caso concreto.
Napoli 10/09/2021
Dott. Giuseppe Marino
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