La prova testimoniale nel processo tributario

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La prova testimoniale nel processo tributario

L’art. 111 della Costituzione (come modificato dalla L. n.2/99)  e l’art. 6 della carta Europea dei diritti dell’uomo, descrivono il principio del giusto processo.

E’ giusto ogni processo che si svolga 1) In contraddittorio delle parti; 2) In condizione di parità; 3) Davanti a un giudice terzo e imparziale  (art.111 c.2 C.).

Il processo tributario italiano è illegittimo sotto una pluralità di parametri, tra i quali certamente spiccano, sotto il profilo ordinamentale, l’assenza di indipendenza e di imparzialità oggettiva delle Commissioni Tributarie (che dipendono dal Ministero dell’economia e delle finanze contro il quale devono decidere) per l’assenza della parità delle armi processuali e la negazione del diritto alla prova testimoniale.

La natura penale delle sanzioni tributarie (solo formalmente amministrative, ritenute di natura penale proprio dalla CEDU per la natura altamente afflittiva le sanzioni arrivano al 240%) rafforza ancora di più la necessità dell’assoggettamento del  processo tributario nelle  garanzie del giusto processo. La Cedu impone il diritto alla prova testimoniale, come elemento fondante del giusto processo. In particolare, l’art. 6 della CEDU non si limita a prevedere esplicitamente la prova testimoniale nel par. 3 dell’art. 6, ma la contempla anche nel par. 1 del medesimo art. 6 (giurisprudenza costante della Corte Europea afferma che l’escussione dei testimoni è parte integrante del diritto a una pubblica ed equa udienza).

L’esclusione dal processo tributario della prova testimoniale non è di poco conto, la stragrande maggioranza degli accertamenti fiscali sono basati su presunzioni.

Nel processo tributario non è ammessa la prova testimoniale come disposto dall’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Le presunzioni sono disciplinate dall’art. 2729 del cc che recita quanto segue: Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.

Il contribuente non può quindi ricorrere alla prova testimoniale, ma può solo produrre dichiarazioni di terzi, che costituiscono puri indizi, regolarmente e assolutamente non valutati dalle Commissioni Tributarie.

Esiste Il principio per cui l’inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario non comporta l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi (Cass.sez. V n. 6946 del 2015). La giurisprudenza sulle dichiarazioni sostitutive nel processo tributario o le esclude (Cass.sez. V, n. 32568 del 2019), oppure ammette la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (come appunto le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà), precisando tuttavia che esse «hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice nel contesto probatorio emergente dagli atti» (Cass.sez. V, n. 21304 del 2013).

La giurisprudenza che esclude in radice qualunque valore probatorio alle dichiarazioni di terzi nel giudizio tributario deve confrontarsi, ad avviso del collegio, con i principi espressi in sede sovranazionale in materia di contraddittorio, anche nel giudizio tributario, tali per cui “l’assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile” (CEDU 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/0143, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia).

Chi come me svolge l’attività di difensore tributario, sa bene che le Commissioni Tributarie pagate dal ministero dell’economia e delle finanze contro il quale devono decidere, di imparzialità purtroppo ne hanno poca, molti anche se non tutti per fortuna, hanno preconcetti ideologici e prendono posizione prima di analizzare la norma.

L’esistenza di pregiudizi nelle fila dei giudici tributari lo dimostra l’allergia cronica ad annullare gli atti per vizi formali, tanto è vero che spesso mi ritrovo la famosa frase in sentenza “Il ricorrente eccepisce solo vizi formali…”, come se la forma non fosse requisito di validità.

Se riflettete il delinquente colpevole di omicidio, esce dal carcere per un vizio formale ha più diritti e tutele del contribuente.

Personalmente mi spaventò la proposta dei Giudici della Corte dei Conti che vantavano il diritto ad essere gli unici ad amministrare la giustizia tributaria, pensate che la Corte dei Conti difende lo Stato, quindi hanno un preconcetto di danno erariale congenito.

I Giudici tributari, dovrebbero rispettare il vecchio principio orientale, se vuoi vedere la verità non prendere posizione.

Napoli, 30/06/2021

Dott. Giuseppe Marino

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