L’obbligo di motivazione di un atto tributario è applicabile anche agli atti della riscossione
Le cartelle di pagamento vanno motivate esplicitando il calcolo degli interessi
Le sanzioni non possono produrre interessi, L’art. 2 comma 3 del d.lgs. 472/1997 deve considerarsi, difatti, norma “eccezionale” che prevale sulla regola generale in base al famoso brocardo latino “lex specialis derogat generali (Cass.16553/2018)
Molte volte mi sono ritrovato sentenze tributarie che affermavano la non obbligatorietà di motivare gli atti della riscossione.
Come è noto, l’art. 7 della L. n. 212 del 2000 prescrive espressamente che negli atti impositivi devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla bse della pretesa dell’amministrazione finanziaria.
L’art. 17 della L. n. 212 del 2000, (Concessionari della riscossione) stabilisce che : Le disposizioni della presente legge (Legge 212/2000) si applicano anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura.
Dalle semplice lettura dello Statuto del Contribuente (L:212/000) è facile rimediare la fonte normativa dell’obbligo all’art. 17.
La motivazione degli atti del concessionario della riscossione risiedono in primo luogo nel rendere facilmente accertabile il calcolo degli interessi
Le modalità di determinazione della somma da pagare oggetto della pretesa, di certo non si potrà motivare per relationem, rinviando alla legge, in quanto il calcolo degli interessi, si modifica giorno dopo giorno ed anno dopo anno.
La vigente normativa in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie (art. 2 comma 3 del D.lgs. n. 472/1997) prevede che “La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi”, ma nonostante ciò la riscossione applica gli interessi sulle sanzioni anche in sede di dilazione.
Abbiano tre tipi di interessi,
1.Interessi di mora
Sono previsti dall’art. 30 del D.p.r. n. 602/1973 e decorrono dal termine dei 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento.
Essi sono calcolati “con riguardo alla media dei tassi bancari attivi.
2.Interessi per ritardata iscrizione a ruolo
Sono previsti dall’art. 20 D.p.r. n. 602/1973 e sono dovuti, quando il Fisco ha iscritto a ruolo i debiti fiscali precedentemente comunicati al contribuente (ad esempio con il cosiddetto avviso bonario).
3.Interessi per per dilazione di pagamento
Sono previsti dall’art. 21 D.p.r. n. 602/1973 e sono dovuti quando il debito è stato dilazionato.
L’art. 37, D.L. n. 124/2019 – ponendo come tetto massimo degli interessi attivi e passivi il 3% – ha modificato, in attesa del previsto decreto ministeriale, tutte le misure degli interessi con saggio superiore al 3%, riducendoli fino a tale ammontare massimo. Si tratta, infatti, di una disposizione avente forza di legge con la quale si dispone espressamente che il tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di “ogni tributo” è determinato “in misura compresa tra lo 0,1 per cento e il 3 per cento”.
Ai sensi dell’art. 30 del Dpr 602/73 il tasso degli interessi di mora è determinato annualmente con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.
L’anatocismo è contemplato dall’art. 1283 c.c. secondo cui gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, purché siano interessi dovuti da almeno sei mesi. Pertanto, il giudice potrà condannare al pagamento degli interessi su interessi nel caso in cui venga provato che, alla data della domanda giudiziale, erano già scaduti gli interessi principali.
L’art. 1283 c.c. si ritiene non venga applicato in materia tributaria, ove sussistono disposizioni speciali che regolano gli effetti della mora debendi.
Ciò premesso, se in cartelle non vengono indicate le modalità di calcolo degli interessi, il dies a quo e la base imponibile del tasso d’interesse, come fa un povero mortale a verificare la correttezza dei calcoli?
In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario dev’essere motivata, non rilevando che il debito sia stato riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, dal momento che il contribuente dev’essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l’entrata in vigore della legge n.212 del 2002 dev’essere allegata la sentenza” (Cass.16553/2018 , Cass. n.15554/2017,Cass.n.516/2012, Cass. 8651/2009;).
La Corte di Cassazione ha stabilito che: Sennonchè, l’art. 2 comma 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 – che stabilisce testualmente: “ La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi” – trova applicazione anche nell’ipotesi di dilazione del pagamento, dove i cd. Interessi di dilazione perseguono le medesime finalità proprie degli interessi comuni. L’art. 2 comma 3 del d.lgs. 472/1997 deve considerarsi, difatti, norma “eccezionale” che prevale sulla regola generale in base al famoso brocardo latino “lex specialis derogat generali”; ne consegue che, in caso di rateazione, sulle sanzioni non sono dovuti gli interessi di mora” Cass.16553/2018
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